Lucio Anneo Seneca (Cordŭba, 4 a.C. – Roma, 65) – Epistulae Morales ad Lucilium – Libro 14 – Par. 91
[11] Non tantum manu facta labuntur, nec tantum humana arte atque industria posita vertit dies: iuga montium diffluunt, totae desedere regiones, operta sunt fluctibus quae procul a conspectu maris stabant; vasta vis ignium colles per quos relucebat erosit et quondam altissimos vertices, solacia navigantium ac speculas, ad humile deduxit. Ipsius naturae opera vexantur et ideo aequo animo ferre debemus urbium excidia. | [11] Non decade solo quello che costruiamo con le nostre mani, il tempo non distrugge soltanto i frutti dell’arte e dell’operosità umana: le vette dei monti si disfano, intere regioni sprofondano, vengono sommersi dalle onde luoghi che erano lontani persino dalla vista del mare; il fuoco, con la sua enorme violenza, ha eroso i colli sui quali risplendeva, e abbassato cime prima altissime, sollievo dei naviganti e punti di vedetta. Anche le opere della natura vengono devastate e perciò dobbiamo sopportare serenamente la rovina delle città. |
[12] Casurae stant; omnis hic exitus manet, sive <ventorum> interna vis flatusque per clusa violenti pondus sub quo tenentur excusserint, sive torrentium <impetus> in abdito vastior obstantia effregerit, sive flammarum violentia conpaginem soli ruperit, sive vetustas, a qua nihil tutum est, expugnaverit minutatim, sive gravitas caeli egesserit populos et situs deserta corruperit. Enumerare omnes fatorum vias longum est. Hoc unum scio: omnia mortalium opera mortalitate damnata sunt, inter peritura vivimus. | [12] Si ergono destinate a cadere: questa è la fine che le aspetta tutte, sia che la forza interna dei venti e il loro soffio impetuoso attraverso luoghi chiusi faccia precipitare i muri che li serrano, sia che la furia dei torrenti, più terribile nel sottosuolo, infranga ogni resistenza, sia che la violenza delle fiamme crepi la massa compatta del terreno, sia che la vecchiaia, cui niente scampa, le faccia capitolare a poco a poco, sia che il clima insalubre scacci le popolazioni e la muffa guasti quei luoghi ormai deserti. Tutte le vie del destino sarebbe lungo elencarle. Io so solo questo: ogni opera dei mortali è condannata a morte sicura, viviamo fra cose destinate a finire. |
[13] Haec ergo atque eiusmodi solacia admoveo Liberali nostro incredibili quodam patriae suae amore flagranti, quae fortasse consumpta est ut in melius excitaretur. Saepe maiori fortunae locum fecit iniuria: multa ceciderunt ut altius surgerent. Timagenes, felicitati urbis inimicus, aiebat Romae sibi incendia ob hoc unum dolori esse, quod sciret meliora surrectura quam arsissent. | [13] Perciò al nostro Liberale che arde di un amore straordinario per la sua patria – e forse è stata distrutta per risorgere migliore – rivolgo queste e altre simili parole di conforto. Spesso una disgrazia apre la strada a un destino più felice: molte opere sono risorte più splendide dalla loro rovina. Timagene, ostile alla fortuna di Roma, diceva che gli incendi di quella città lo facevano soffrire solo perché sapeva che sarebbero sorti edifici migliori di quelli bruciati. |
[14] In hac quoque urbe veri simile est certaturos omnes ut maiora celsioraque quam amisere restituant. Sint utinam diuturna et melioribus auspiciis in aevum longius condita! Nam huic coloniae ab origine sua centensimus annus est, aetas ne homini quidem extrema. A Planco deducta in hanc frequentiam loci opportunitate convaluit: quot tamen gravissimos casus intra spatium humanae <pertulit> senectutis! | [14] È probabile che anche in questa città tutti faranno a gara per ricostruire edifici più imponenti e grandiosi di prima. Voglia il cielo che viva nel tempo e sia edificata con auspici più fausti e durevoli! Dalla fondazione di questa colonia sono passati cento anni, che non sono il limite massimo neppure per un uomo. Fondata da Planco, ebbe questo aumento demografico per la sua posizione favorevole: ma quante terribili disgrazie ha subìto nello spazio di una vita umana! |
[15] Itaque formetur animus ad intellectum patientiamque sortis suae et sciat nihil inausum esse fortunae, adversus imperia illam idem habere iuris quod adversus imperantis, adversus urbes idem posse quod adversus homines. Nihil horum indignandum est: in eum intravimus mundum in quo his legibus vivitur. | [15] Sappia, dunque, il nostro animo comprendere e sopportare il proprio destino, sappia che la fortuna può osare tutto e ha gli stessi diritti sull’autorità e su chi la detiene e lo stesso potere sulla città e sui cittadini. Non indigniamoci per questi fatti: sono le leggi che regolano la vita dell’universo di cui facciamo parte. |
Il più antico dei terremoti noti risale al 1627 (Mw 5.3)
Il terremoto del 7 ottobre 1639 (Mw 6.2)
Gli altri terremoti storici
Le date conosciute degli altri terremoti di una certa importanza sono 1646 (Mw 5.9), 1672 (Mw 5.3), 1703, 1730, 1859, 1883 (Mw 5.1), 1910 (Mw 4.6), 1950 (Mw 4.7), 1963 (Mw 4.7)